Come rovinare i nostri centri storici

Redazione

Editoriale

Come rovinare i nostri centri storici
Maurizio Carta critica la legge appena approvata all'ARS

18 Gennaio 2016 - 00:00

L'ARS ha approvato una pessima legge sui centri storici nonostante le numerose indicazioni del mondo universitario, delle associazioni cultuali e ambientaliste e dell'ANCI ad affrontare il tema della rigenerazione dei centri storici in maniera adeguata, senza semplificazioni concettuali e operative che, mentre sembra che eliminino le patologie del mancato recupero, in effetti minano dall'interno la fisiologia identitaria del palinsesto urbanistico delle città. Invece di prendere ad esempio le pratiche migliori di intervento nella città storica, la Sicilia vara una legge anacronistica e in totale controtendenza rispetto alle migliori pratiche urbanistiche senza nemmeno aver inquadrato il recupero dei centri storici in una nuova legge sul governo del territorio come in molte occasioni abbiamo chiesto. Mentre la Sicilia riceve il privilegio del settimo sito Unesco e i due borghi più belli d'Italia sono sui Nebrodi e sulle Madonie, una legge insulsa indebolisce in maniera pericolosa le vere basi di un futuro fondato sulla qualità, sul riciclo, sul paesaggio e sulle eccellenze identitarie.
“Ci vogliono: uomini, tempo, organizzazione, tecnicità, mezzi adeguati, perseveranza. Gli uomini non mancano; purtroppo non pochi fra noi mancano di preparazione, sono improvvisatori, diffidenti, presuntuosi, discontinui. (…) Forse mancano iniziative valide in Sicilia e nel Mezzogiorno? no; siamo denigratori di noi stessi; svalutiamo il bene che invidiamo; ignoriamo quello che sanno fare gli altri, perché riesce rimprovero alla nostra incapacità di volere” così Luigi Sturzo nel suo Appello ai Siciliani del 1959 ci strigliava e ci incitava a prendere in mano il nostro futuro.
Oggi, anche a partire dalla reazione attiva a questa brutta legge contro il Dna culturale delle nostre città, deve nascere la sfida di una nuova Sicilia, perché non debbano passare altri 56 anni per rispondere all’appello.

 

Maurizio Carta

 

 

 

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