La verità su Borsellino, non servono agende rosse, basta l’orgoglio  

Michele Ferraro

Editoriale

La verità su Borsellino, non servono agende rosse, basta l’orgoglio  
E ora di prendere per il collo Totò Riina

18 Gennaio 2016 - 00:00

Ammetto fin d’ora che quella che segue, e pretende di essere una riflessione, è forse più uno sfogo. Un rigurgito di rabbia salito su ed annodato alla gola dopo aver letto un breve stralcio delle intercettazioni di Totò Riina, ascoltato dai servizi segreti mentre dialoga amabilmente con il suo compagno d’ora d’aria, tale Alberto Lorusso.

“Minchia come mi è riuscito!” esclama con un ghigno diabolico ed indecente. Si riferisce a “botto” di Via D’Amelio.

Poi continua “Ma vai a capire che razza di fortuna!”, Riina confida a Lorusso che da tempo “i suoi” intercettavano Paolo Borsellino, i suoi familiari e gli uomini a lui più vicini (scorta e colleghi di lavoro), e proprio quando stavano perfezionando i dettagli dell’attentato, riescono a captare – ecco la fortuna – una telefonata in cui Paolo Borsellino annuncia alla mamma la sua imminente visita: “domani, mamma, vengo”.

“Troppo bello” esclama Riina “piglia, corri e mettigli un altro sacco”, di tritolo, ovviamente.

“Troppo bello” !

Un uomo, minuto ed ignorante, che per decenni ha tenuto sotto scacco vita e malavita, Stato ed antistato, facendo leva sull’unica sua forza, la crudeltà, continua a farsi beffe della memoria di Borsellino e della dignità di un intero Paese che ancora brancola nel buoi, che insegue “pentiti” e “agende rosse” per una verità che – diciamolo una volta per tutte – è a portata di mano.

Il custode di quella verità è dentro una cella, che ancora dorme e mangia a spese dei contribuenti, compresi quelli Siciliani, compresi i familiari di Paolo Borsellino, di Agostino Catalano, di Emanuela Loi, di Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Anni e anni di carcere non hanno scalfito quel cuore di pietra. Neanche l’ombra del pentimento. Nessuna possibile redenzione, anzi ci gode Riina a raccontare le sue “gesta” al nuovo amico di detenzione.

Ed allora, godiamo anche noi! Si conceda un lusso, per una volta, questo nostro Stato fantoccio, sempre più forte con i deboli e debole con i forti. Dia sfogo alla sua natura più malvagia e ria, mostrandosi pronto a sbranare chi lo ha sbranato, chi lo ha violentato per anni, chi ha strappato dalla terra i suoi figli migliori. Senza pietà, infischiandosene di sangue e suicidi, come dimostra di saper fare quando scioglie la fiera “Caina” (Equitalia) contro malcapitati creditori.  

Detto con chiarezza e senza giri di parole: E’ ora di prendere per il collo quell’aborto di uomo ed estorcere, con tutta la violenza necessaria, la verità su Via D’Amelio. Godendo della sua paura e fino alla morte se necessario, che delitto non è e nemmeno vergogna, ma orgoglio, orgoglio di Stato.  

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