Tutti (ancora) dietro la “Linea Gotica”

Redazione

Cronaca

Tutti (ancora) dietro la “Linea Gotica”
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Santi Cicardo

18 Gennaio 2016 - 00:00

Caro direttore,

nonchè mio amatissimo Michele, ho provato in questi  giorni a volgere la sguardo altrove, a distogliermi  dalle polemiche (o gli sberci facebookiani?) circa la “famigerata” scritta che nero su bianco ora riemerge restaurata su uno dei budelli più visibili del nostro paese ma come leggi non ci sono riuscito, complice il tuo bell’articolo, e il tuo invito alla riflessione, che in buona parte mi convince ma che allo stesso tempo mi lascia scettico (letteralmente e sinceramente). Non entro nel merito di evocati e minacciati reati, di deroghe a norme costituzionali o amenità giurisprudenziali simili, così come non entro nel merito sulla modalità e sul perché la striscia è stata restaurata . Piuttosto mi interessa riflettere interrogandoci, è questo il mio sincero dubbio, sulla possibilità di ironizzare sul motto mussoliniano, e su ciò che in nome della massima historia magistra vitae merita di essere recuperato o al contrario bisognerebbe affidare alla damnatio memoriae (non sempre patina negativa), che agisce nel tempo, e che più della storia, inesorabilmente svolge il suo compito casuale ed estremo al di là delle umane volontà. Certo nessuno penserebbe di demolire l’E.U.R., o che so io una scuola, o una qualsiasi altra opera architettonica o infrastrutturale di epoca fascista, nessuno storce il naso a vedere un fascio littorio appeso a una di queste opere. Così come nessuno ha mai pensato di radere al suolo Auschwitz, o qualsiasi altro campo di sterminio, che piuttosto rimangono piantati sulla terra come una cicatrice a ricordare la ferita che sanguina e le lame che l’hanno aperta. Perché succede questo? E di più: vale lo stesso per la scritta in questione?  La risposta che mi sono dato è no! Risposta che, lo denuncio subito, ha fondamenta personali probabilmente legate al mio anarchico sentire politico, ma che decisamente è stata convocata dalla sfilza di botta e risposta, a volte argomentanti più spesso lanciati a titolo d’offesa, fioriti sui social. A leggerli anche superficialmente (ma in quale altro modo?) emerge subito una contrapposizione tra nostalgici e intransigenti, tra rossi e neri, tra vecchi campioni di questo o quello schieramento (io stesso credo di esserne vittima). Evidentemente perché quelle parole, e qui risiede la differenza (rispetto alle opere architettoniche), sonouna scritta propagandistica che conserva la forza dirompente della “parola”:  ossia quella di radunare ancora risentimenti o rimpianti, ardori o avversioni, nella migliore ipotesi tifoserie nella peggiore inimicizie. Verbali certo,se rimaniamo nel nostro piccolo angolo di mondo, ma invero allargando la visuale ancora dinamicamente in azione e conflitto.  A quanto pare, insomma, non si riesce a ironizzare sull’espressione di un uomo che spezzò, questo sì veramente, l’Italia in due pezzi, dove tutti furono costretti a scegliersi la parte dietro la “linea Gotica” (parafraso Beppe Fenoglio) per ragioni identiche e ideali contrari. L’eco di quei giorni a quanto pare continua a rumoreggiare, continua a disturbare, agisce sottilmente senza dare pace alle vittime o agli eredi morali, politici, e in carne e ossa di quella stagione. Una guerra civile non è facile da ricomporre, gli Stati Uniti insegnano, le divisioni che segna, spesso in seno a una stessa famiglia, non si superano con un intervento del presidente del parlamento italiano, o peggio con il solito “vogliamoci bene” italiota e come è andata e andata. Per questo non si riesce a ironizzare, né dall’una né dall’altra parte, per questo c’è chi si sente offeso dalla striscia restaurata e chi ovviamente inorgoglito, non meravigli alcuna reazione. Solo un ultimo inciso. Già tempo fa era stata fissata una lapide, ripescata dal fondo di un museo e inneggiante i tempi della autarchia fascista, già a quel tempo ci fu una polemica e la risposta fu “che la storia non si può cancellare?” (benché a far scomparire quella lapide non furono i partigiani della “Brigata Garibaldi” ma lo stesso potestà fascista dell’epoca che allo sbarco degli Americani pensò bene di rifarsi una verginità politica). Non vorrei che a furia di rianimare(lucidare?) una parte di memoria si finisse per atrofizzareo peggio uccidere l’altra. Alla fine viene da chiedersi se non si poteva essere un po’ più cauti nel restaurare la scritta, quanto all’ironizzare ti lascio con un verso ti Majakoskij: «Lecca e rilecca, ahimè, io vedo vene recise».

Santi Cicardo

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