Editoriale

Lettera del direttore a Vincenzo Liarda: “Caro presidente, dimettiti”

Caro Vincenzo,

fra poco più di un mese (il 17 luglio p.v.) dovrai recarti negli uffici del Tribunale di Termini Imerese per rispondere alle gravissime accuse di “simulazione di reato” che contro di te vengono rivolte dalla Procura della Repubblica guidata da Alfredo Morvillo.

Il fatto è noto: si indaga da tempo sulle dolorose vicende che ti hanno coinvolto personalmente: minacce, intimidazioni, danneggiamenti subiti per il tuo impegno di sindacalista della Cgil per il riutilizzo del feudo Verbumcaudo.

Che tu sia stato in prima linea nella battaglia per riconsegnare questo bene (appartenuto a Michele Greco) alla comunità madonita non c’è dubbio. Ma quello che fino a ieri era solo un alone sui panni di sindacalista antimafia che da anni indossi, oggi è diventata una macchia che va tolta, prima di continuare il percorso alla guida del Consorzio che presiedi.

Gli investigatori dei ROS hanno trovato una tua impronta in una delle diverse lettere minatorie che nel tempo ti sono state recapitate. Un’impronta che non doveva esserci stante il fatto che tua moglie, dopo averla trovata, l’ha subito consegnata ai Carabinieri, senza farla transitare dalle tue mani. Così dicono i verbali.

E’ vero, fin dal primo momento hai avuto molti detrattori. Le male lingue negli anni si sono esercitate a ricostruire le più diverse supposizioni pur di screditare la tua figura. Ma, lo sai bene, un conto sono le chiacchiere di paese, tutt’altro conto sono invece le indagini portate avanti dai magistrati di Termini Imerese che oggi ti accusano di “simulazione di reato”.

“Accuse indiziarie” le definiscono i tuoi legali. Ed in effetti c’è tutto il tempo per chiarire come e perché quell’impronta si trova là dove non dovrebbe essere. Se la presunzioni di innocenza vale per un “malacarne” figuriamoci se non deve valere per te.

Ma mantenere la carica di presidente del “Consorzio Madonita per la legalità e lo sviluppo” in pendenza di giudizio proprio non è possibile.

Dimettiti, fallo per il “Consorzio” per il quale tanto ti sei battuto e fallo per te. Perché nessuno possa pensare che l’attaccamento alla poltrona sia più forte del senso di legalità per il quale ti sei sempre battuto.

La magistratura, nella quale tu non puoi non avere fiducia, farà il suo lavoro ed alla fine, se la verità processuale ti darà ragione, il senso delle tue battaglie sarà ancora più profondo e denso di significato. In caso contrario eviterai uno scontatissimo, ed a quel punto anche troppo facile, linciaggio mediatico.

Ascolta quindi questo mio consiglio, fatti da parte prima che arrivi il 17 luglio. Davanti ai giudici vacci da solo, con il coraggio che ti contraddistingue, non portare con te anche il Consorzio che oggi rappresenti. Sarebbe un errore imperdonabile.

 

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