“La guarigione sociale”, il nuovo libro della madonita Alessandra Cirincione

Michele Ferraro

Cronaca

“La guarigione sociale”, il nuovo libro della madonita Alessandra Cirincione

27 Aprile 2018 - 14:16

Alessandra Cirincione è una madonita doc, nata e cresciuta proprio in questo territorio a Bompietro, suo paese natale al quale è profondamente legata e dove spesso e quando può ritorna, anche se il lavoro l’ha portata lontano. Alessandra, 30 anni, un diploma ll Liceo Scientifico “Salerno” di Gangi, si è laureata in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica all’Università di Palermo, specializzata nella Conduzione di Gruppo con i Metodi Attivi presso la Scuola di Psicodramma Classico di Milano. Lavora nella progettazione di percorsi riabilitativi per utenti adulti con obiettivi di reinserimento sociale e da un anno a Reggio Emilia in una struttura che si occupa di riabilitazione psichiatrica. Una esperienza per lei altamente formativa dal punto di vista professionale ed umano, tanto da farle dire che la competenza professionale unita all’empatia è il segreto per il successo della riabilitazione psichiatrica. La Cirincione in questi mesi ha scritto un libro “La guarigione sociale” edito dalla casa Sensibili alle foglie, che vi vogliamo presentare.

“Questo libro nasce dall’esigenza di condividere con i miei colleghi le esperienze negative e positive che ho vissuto nel mio breve percorso lavorativo – afferma Alessandra – e dal desiderio di dare maggiore valore alla figura professionale del Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica. L’istituzione del corso di laurea in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica nasce come risposta alla crisi del sistema dei servizi di riabilitazione psichiatrica in Italia. Nonostante la recente apertura dei servizi a questa figura professionale, ancora molto deve essere fatto affinchè i servizi comprendano pienamente la funzione professionale del TeRP e come essa debba venire integrata nel lavoro di riabilitazione con l’utenza. Purtroppo i corsi universitari di alcune regioni non rispondono ancora totalmente alle necessità formative dei futuri Tecnici della Riabilitazione. Ne è la prova il fatto che molti colleghi che si apprestano a lavorare per la prima volta nei servizi di riabilitazione psichiatrica non hanno ben chiaro quale sia il proprio ruolo, ne come si debbano relazionare con gli utenti e i colleghi. Spesso i tirocini pratici non sono bene strutturati, e finiscono per andare in secondo piano rispetto alla formazione teorica la quale prevede inoltre l’insegnamento di materie non sempre spendibili nel campo. Il rischio di non prestare la dovuta attenzione alla formazione pratica e personale degli studenti, è quello di formare professionisti non preparati a relazionarsi agli utenti in maniera asimmetrica ed ad utilizzare strategie comunicative efficaci. Ma anche quando i percorsi universitari sono bene organizzati in questo senso, spesso ci si scontra con una realtà lavorativa completamente distante dall’ideale di riabilitazione psichiatrica che si è immaginato studiando sui libri”.

Molte strutture non sono ancora bene attrezzate per portare avanti un lavoro improntato al recovery, vuoi per la mancanza di fondi vuoi per la mentalità paternalistica e assistenziale dura a morire. L’affidamento dei servizi di riabilitazione psichiatrica alle cooperative sociali inoltre non aiuta in questo senso. Le cooperative sociali che di certo creano molti posti di lavoro sopperendo alla carenza di posti lavorativi nel settore pubblico, non sempre lavorano nel rispetto dei diritti umani, sia nei confronti degli operatori che degli utenti. “Molte cooperative del Sud Italia, parlo per esperienza personale – dice Alessandra – assumono personale che non ha una formazione adeguata, lo sfrutta sottoponendolo ad orari di lavoro massacranti ed eroga stipendi bassi una volta ogni sei mesi. La crisi attuale che interessa l’Italia porta molti ragazzi della mia età ad accontentarsi e ad accettare questo tipo di trattamento, pur di restare nella propria terra e non dover emigrare. Questo atteggiamento rinforza un sistema scorretto e distruttivo, che di sicuro non rispetta quella che è la mission dei servizi. L’alto turn over di operatori nelle strutture conseguente allo sfruttamento infatti, non aiuta di certo gli utenti a costruire una relazione di fiducia con l’operatore, processo fondamentale nel loro percorso di guarigione. Inoltre i pochi fondi a disposizione non permettono sempre l’erogazione di interventi riabilitativi misurabili, sostituiti quindi da attività a basso costo, ma estemporanee e assistenziali”.

L’approssimazione e l’assistenzialismo nei servizi sono la causa del burn out di molti operatori che privi degli strumenti per relazionarsi con la cronicità della malattia mentale soccombono alla frustrazione e al sentimento di impotenza che sperimentano quotidianamente senza essere supportati in nessun modo. “È per questo che nel libro affronto il tema della supervisione competente, mezzo essenziale per integrare le diversità professionali e personali e stimolare dinamiche di efficacia relazionale – continua Alessandra – Purtroppo molti operatori continuano invano a cercare il senso del proprio lavoro dentro a un sistema il cui obiettivo ultimo è diventato far andare avanti la baracca a qualunque costo. Un altro argomento attuale che affronto nel mio libro è la responsabilità che i cittadini hanno nel mantenere la condizione di disabilità nelle persone che soffrono di disturbi mentali. Se ci pensiamo la disabilità di per sè non sarebbe un problema se non si scontrasse con un ambiente ostile e stigmatizzante nei confronti del “diverso”. La speranza di rimanere persone sane e in salute non corrisponde sempre all’evolversi della nostra realtà, motivo per cui tutti dobbiamo considerarci temporaneamente sani e creare un ambiente supportivo per i disabili, preventivo per i sani. La nostra società è tirata fuori dall’argomento “salute mentale”, tema che continua a rimanere appannaggio dei medici e degli operatori sociali; forse ciò avviene per la paura che i cittadini non sappiano interpretare adeguatamente le informazioni sull’argomento. Urge un cambiamento di rotta, un’apertura ulteriore delle porte che confinano le persone momentaneamente malate dentro a spazi si più piccoli di quelli manicomiali, ma potenzialmente in grado di riprodurli in piccola scala; urge informare e responsabilizzare i cittadini al fine di abbattere le barriere relazionali e comunicative che dividono la società in normali e matti. Solo allora si avrà la Guarigione Sociale”. Dietro alla professionista c’è una ragazza di 30 anni, molto sensibile e innamorata della vita, con tanti sogni nel cassetto da realizzare.

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