I docenti universitari di linguistica e dialettologia delle università siciliane, insieme al Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, hanno preso posizione contro le recenti mozioni comunali e il Disegno di Legge regionale che mirano a imporre il siciliano come lingua ufficiale e persino come lingua primaria dell’istruzione. I linguisti denunciano il rischio di una forzatura culturale e sociale che scavalca anni di studi, ricerche, pratiche didattiche e di trasmissione spontanea della lingua. La mozione proposta da “Cademia Siciliana” e dal movimento “Trinacria” è stata già approvata da tre consigli comunali madoniti (Alimena, Blufi e Petralia Sorpana) e il prossimo 20 maggio dovrebbe essere discussa in seno all’assemblea dell’Unione dei Comuni delle Madonie. Nono solo, la mozione è stata anche “adottata” dai deputati regionali del “Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo che hanno depositato in Assemblea Regionale un Disegno di Legge voto che, di fatto, ricalca i contenuti della mozione. ARS e Unione dei Comuni delle Madonie però adesso dovranno tenere conto anche della posizione assolutamente contraria del mondo accademico ufficiale.
Pur riconoscendo il valore del patrimonio linguistico siciliano, gli accademici mettono in guardia da un’imposizione artificiale di una “lingua siciliana” standardizzata, costruita a tavolino e scollegata dalle varietà locali realmente parlate. In nome della tutela, si rischia invece la cancellazione delle specificità dialettali locali e la trasformazione del siciliano in uno strumento ideologico e identitario, più che educativo e culturale. A sostegno di questa posizione, hanno stilato un documento in cui i firmatari si domandano quale varietà verrebbe imposta come “siciliano ufficiale” nei libri di testo e negli insegnamenti scolastici, sottolineando come ciò contraddirebbe lo spirito stesso della salvaguardia linguistica, soprattutto in contesti educativi già fragili come quello siciliano. Imporre il siciliano come L1 a scuola – ribadiscono – aggraverebbe i già delicati processi di alfabetizzazione, soprattutto in un ambiente plurilingue. A fronte di ciò, i linguisti chiedono il ritiro delle mozioni già approvate in autotutela e propongono un ampio confronto scientifico, culturale e sociale, annunciando per l’anno in corso un convegno pubblico dal titolo: “Parliamo di dialetto siciliano, tra scuola, rivendicazioni identitarie, perdita e nuovi usi”.
Nel dicembre 2023, un tavolo tecnico a Bruxelles ha riunito importanti rappresentanti del mondo accademico siciliano, tra cui il professor Giovanni Ruffino, accademico della Crusca, linguista e dialettologo di fama internazionale nonché presidente del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani e primo firmatario del documento; la professoressa Marina Castiglione, ordinaria di Linguistica Italiana presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Palermo e membro del Centro; e la professoressa Iride Valenti, associata di Glottologia e Linguistica presso il medesimo dipartimento dell’Università degli Studi di Catania. L’incontro aveva lo scopo di discutere lo stato e le prospettive della lingua siciliana nel contesto europeo. Erano presenti anche molte delle associazioni che oggi spingono per l’approvazione del disegno di legge in discussione all’ARS, volto a riconoscere il siciliano come lingua ufficiale accanto all’italiano e a introdurlo nel sistema scolastico regionale, una prospettiva a cui i linguisti e dialettologi delle università si oppongono nettamente.
La professoressa Castiglione ha così dichiarato su quell’iniziativa: “Fu chiaro che alle argomentazioni scientifiche offerte dai linguisti non veniva contrapposto un dibattito sull’argomento, bensì un’esigenza spesso appassionata, ma dilettantesca, di maggiore visibilità per quella che viene definita lingua siciliana. Una definizione, questa, derivata da un calco scorretto del termine inglese language, usato nei documenti UNESCO, e tradotto in modo improprio, senza tenere conto del contesto e dell’uso scientifico corretto di termini come dialetto e lingua.”
“Nel corso dell’ultimo anno e mezzo – prosegue la professoressa Castiglione – ci si è resi conto che, accanto a persone mosse da sincero amore per la cultura popolare siciliana, stanno operando manovre politiche più ampie, con un progetto pericoloso che mira a introdurre il siciliano nelle scuole come lingua primaria. Un’operazione che rischia di destabilizzare ulteriormente un sistema scolastico già fragile, dove il plurilinguismo andrebbe affrontato con strumenti scientifici, didattici e contrastivi, non con slogan o semplificazioni”. Tra i firmatari del Manifesto per la tutela e la valorizzazione del patrimonio linguistico siciliano, la professoressa Castiglione conclude: “Standardizzare il siciliano significa tradire la sua stessa natura. La sua forza risiede nella varietà dei parlati locali, nella ricchezza diacronica e sincronica di un idioma che cambia nel tempo e nello spazio. Bisogna investire in educazione linguistica consapevole, non in forzature legislative.”
Il Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, che da decenni documenta scientificamente l’evoluzione dell’idioma, è l’esempio virtuoso di come si possa lavorare seriamente per la valorizzazione del siciliano senza scadere in derive ideologiche. Ne è convinto anche Mario Chichi, ricercatore dell’Università di Palermo, che ha contribuito in questi anni con studi e pubblicazioni proprio sul dialetto siciliano: “Imporre il siciliano nelle scuole come lingua primaria sarebbe qualcosa di deleterio, oltre che anacronistico. Attività di valorizzazione e sviluppo della consapevolezza linguistica, come quelle che portiamo avanti da anni, non sminuiscono il valore inestimabile del nostro patrimonio. Il siciliano, come ogni codice, cambia, si modella col tempo. Non si può imporre oggi una ‘lingua siciliana’ inesistente, che un anziano cresciuto con un altro dialetto locale non comprenderebbe nemmeno. Il mondo è bello perché è vario, e così anche la Sicilia.” Il messaggio del mondo accademico è chiaro: sì alla valorizzazione, no all’imposizione ideologica. Il patrimonio linguistico siciliano merita rispetto, studio e cura, non una sua riduzione a bandiera di rivendicazioni politiche o identitarie svuotate di rigore.