“Le aree interne non sono morte, è la politica che fa gli interessi dei più forti” parla Mario Cicero, sindaco di Castelbuono

Marianna Lo Pizzo

Cronaca - Strategia Nazionale Aree Interne

“Le aree interne non sono morte, è la politica che fa gli interessi dei più forti” parla Mario Cicero, sindaco di Castelbuono
Intervista al sindaco di Castelbuono e componente UNCEM Mario Cicero sul futuro delle aree interne

03 Luglio 2025 - 17:34

Nel documento del nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne (2021–2027), il governo italiano, con una nota che riferisce il Presidente dell’UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) Brussone essere stata già stralciata, aveva maldestramente certificato “un declino irreversibile” per le aree interne d’Italia. Una notizia passata quasi in sordina se non per qualcuno che si è accorto dell’affermazione. Quella che un tempo era il fiore all’occhiello della diversità culturale, storica e gastronomica dell’Italia, si sta perdendo per sempre a favore di un’omologazione globale legata al consumo ma non al benessere.

La definizione scritta sul piano di tendenza “irreversibile”, certificava nero su bianco un’emorragia mai tamponata, sotto gli occhi di tutti coloro i quali vivono ancora nei paesi, che sono stati certificati come “borghi” per renderli più attrattivi, ma non oltre una stagione televisiva.

Questo passaggio definito dai tecnici come realistico, suonava come una sentenza definitiva per i circa 4.000 comuni italiani lontani dai poli urbani e dai grandi servizi. Non ci saranno investimenti per luoghi destinati a morire, ma solo un accompagnamento “nella decadenza”. Un fine vita approvato dal Governo Meloni sarebbe già stata una notizia.

E se il sintagma, cancellato con un click, non cancella la polemica e solleva il polverone sotto il sole di luglio, in piena emergenza climatica, laddove le città sono certificate come trappole mortali per il caldo registrato in tutta Europa, si abbandonano di fatto le aree più sostenibili dal punto di vista della qualità della vita.

Il nervo in effetti è scoperto da tempo. Tra le voci più critiche rispetto al piano quella di Mario Cicero, sindaco di Castelbuono e delegato per la Sicilia dell’UNCEM, che in questa intervista risponde con fermezza.

Sindaco Cicero, il governo ha ritrattato ma era stato certificato che per le aree interne non c’è più nulla da fare. Lei cosa risponde?

La mia riflessione è chiara: è una scelta politica, non tecnica. È l’ennesima dimostrazione che questo governo, ma anche i precedenti, non hanno una visione su come far crescere i territori interni. Parlano di “declino irreversibile” perché hanno scelto di abbandonarli. Ma le condizioni per rilanciarli ci sono tutte. Servono infrastrutture, servizi, mobilità. Quello che si trova in una città deve esistere anche nelle Madonie, nelle Alpi, negli Appennini.

Può fare un esempio concreto?

Un ragazzo di Gangi, Castelbuono o Petralia dovrebbe poter andare una sera a Palermo e tornare senza problemi, con un sistema integrato di bus e treni. Io avevo un progetto in tal senso: mobilità a chiamata, pulmini che attendono chi rientra la notte per riportarlo in paese. Bocciato. Perché per qualcuno la mobilità sostenibile è solo in bicicletta. Ma qui parliamo di vivere in modo dignitoso.

Sappiamo che la mobilità è il nostro grande tallone d’Achille delle aree interne e questo incide a cascata anche sulle attrattività di un territorio non facilmente raggiungibile.

Esatto. Piscine, cinema, teatri. Noi, a Castelbuono offriamo spettacoli di qualità, ma se lo Stato non investe anche sui nostri luoghi cosa si può offrire agli abitanti dei nostri centri se non qualche commedia popolare? È ingiusto. La stessa qualità culturale delle grandi città va garantita anche nei territori. E ovviamente non posso non citare i servizi sanitari, scolastici, digitali. La gente resta nei paesi se lì si può vivere, non solo sopravvivere!

E il PNRR?

Un’occasione sprecata e sottratta. Il 60% del PNRR era pensato per il Sud e per il Mezzogiorno d’Italia, ma ci hanno lasciato le briciole. Il resto è andato alle multinazionali: Tim, Enel, Eni.

È chiaro ed evidente che c’è una volontà di un mortificare i comuni interni, di farli abbandonare, non facendo la manutenzione alle strade, non dando gli adeguati strumenti  per vivere.

Potevamo rifare le strade, migliorare le reti idriche, rilanciare la cultura. Invece resteranno solo i debiti. È una politica che favorisce i forti e condanna i deboli. E i comuni interni muoiono, non per natura ma per decisione politica.

Ci dobbiamo arrendere allora?

Non è il momento di farlo. Bisogna unire le forze. Chiedo da mesi all’Unione dei Comuni di convocare un consiglio straordinario, ma tutto resta fermo, i tempi sono infiniti. C’è bisogno di sindaci determinati, non di chi vuole solo il nome sulla porta. Servono agevolazioni fiscali per chi vive qui. Serve una strategia per riportare i giovani nei loro paesi, ad esempio con lo smart working incentivato. Le aziende risparmierebbero, i territori ripartirebbero.

Siamo sicuri che i giovani vogliano lasciare i comfort delle città? E alle città starebbe bene?

Le città protesterebbero. Come già accaduto a Milano che perderebbe affitti, consumi. Ma vogliamo davvero continuare a intasare e respirare l’aria dell’unica area d’Europa con i livelli di smog più elevati? È possibile che tutte le aziende si trovino nella fascia tra Milano, Bergamo e Brescia? Una politica nazionale intelligente sposterebbe le aziende agroalimentari ad esempio anche nel Sud, anche in Sicilia. Serve solo il coraggio di dire no alle lobby.

Sembriamo piccoli e indifesi così.

Si ma non ci arrendiamo. Le aree interne possono essere moderne, attrattive, sostenibili. Hanno carte in regola per esserlo ancora. Ma devono essere trattate come una parte viva del Paese, non come un peso. Basta abbandoni. È ora di battersi, con coraggio, tutti insieme.

Il presidente Bussone e il vicepresidente Fasciani a livello nazionale intanto rilanciano e invitano a superare le divisioni e puntare su una nuova programmazione europea 2026-2034 che rafforzi servizi, governance e investimenti nelle aree interne e montane. Se la nota scompare, la preoccupazione ormai annosa rimane. Che futuro per le aree interne?

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