Operazione Agorà: Non è più la mafia a cercare i politici ma l’esatto contrario

Michele Ferraro

Cronaca

Operazione Agorà: Non è più la mafia a cercare i politici ma l’esatto contrario
Emerge un quadro allarmante che disgusta gli inquirenti

18 Gennaio 2016 - 00:00

“E’ veramente triste constatare come il livello morale di questa gente sia arrivato, mi auguro!, a raschiare il fondo e che non assisteremo a fatti ancora più riprovevoli” si esprime così, con evidente sconforto, il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi a margine della conferenza stampa tenuta stamani per far conoscere i dettagli dell’operazione “Agorà”.  

Non è il primo terremoto che si abbatte sull’Assemblea Regionale Sicilia ma, di certo, è quello che lascia intravedere un nuovo terribile scenario: non è più la mafia a cercare i politici ma l’esatto contrario!

Uno stravolgimento delle posizioni che dimostra in maniera plastica come stiano cambiando i rapporti di forza fra il potere politico e quello mafioso.

Denaro in cambio di preferenza (150 euro per 30 voti), promesse di posti di lavoro in cambio del sostegno elettorale di un “grande elettore”, attorno al quale si sono concentrare le indagini degli inquirenti: Giuseppe Bevilacqua, esponente del PID che quei posti, offerti da Nino Dina, li avrebbe tenuti per i suoi cari. Circa 15 mila euro all’anno ciascuno per un lavoro che non avrebbero neanche dovuto fare: bastava presentarsi un paio di giorni a settimana!

Ma Bevilacqua faceva anche il gioco delle tre carte e, mentre contrattava con Nino Dina, tentava di spingere anche Roberto Clemente al fine di farlo “salire” alla Regione, liberando così quel posto in consiglio comunale che gli sarebbe spettato in quanto primo dei non eletti nella stessa lista di Clemente.

Per ottenere l’agognato posto a Palazzo delle Aquile Bevilacqua non si faceva scrupoli, tanto da mettere su un “banco alimentare” per distribuire pane, pasta e altri generi di prima necessità ai più bisognosi. Non a tutti quelli che si sarebbero presentati, va da se, ma solo a quelli che gli garantivano un sicuro sostegno elettorale. Capitava così che anche famiglie tutt’altro che indigenti andavano “a fare la spesa” in cambio di una manciata di voti. Rubando di fatto il pane dalla bocca dei più bisognosi. Per fare cassa Bevilacqua avrebbe anche rivenduto beni più pregiati raccolti con le collette alimentari, come il parmigiano, a titolari di supermercati compiacenti.   

Sempre seguendo i movimenti preelettorali di Bevilacqua si scopre come si siano modificate le logiche dei rapporti fra mafia e politica: è lui a cercare “le persone buone” come le definisce l’aspirante consigliere comunale. I mafiosi, fra cui un parente molto stretto del boss Pietro Aglieri, venivano insistentemente cercati ad ogni appuntamento elettorale.   

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