Il vescovo Marciante: “Cefalù è invivibile. Così perdiamo la nostra identità”

Redazione

Cronaca - L'intervista

Il vescovo Marciante: “Cefalù è invivibile. Così perdiamo la nostra identità”
Una lunga chiacchierata con il vescovo che affronta tantissimi e interessanti argomenti

07 Agosto 2023 - 09:54

Pubblichiamo integralmente l’intervista fatta al vescovo di Cefalù, monsignor Giuseppe Marciante, da Don Franco Mogavero, responsabile Servizio Pastorale Comunicazioni Sociali, pubblicata sul sito ufficiale della Diocesi di Cefalù.

Ogni intervista col vescovo Giuseppe è un dialogo con la storia, la spiritualità, la cultura. Con il passato e con il presente che sfrecciano verso il futuro. È un attraversare per mare, monti e colline le varie comunità della nostra Chiesa di Cefalù. Senza la paura di fermarsi a guardare le tante rughe del suo volto e le ferite del suo corpo. Senza quella fretta che potrebbe impedirci di vedere quei piccoli germogli di speranza che fanno capolino in vari angoli, anche i più nascosti del nostro territorio. E così il nostro “viaggio” muove i suoi passi a partire dal 14 aprile del 2018, il giorno del suo ingresso come vescovo della Chiesa di Cefalù. Subito, a tal proposito, Monsignor Marciante inizia a elencare alcuni dei cambiamenti pastorali, culturali e sociali, che lo hanno accompagnato in questi 5 anni di guida pastorale: “I cambiamenti sono stati tanti e diversi. Un cambiamento forte è stato dato dall’indizione del sinodo. Si è passati, per certi aspetti, da una pastorale verticista a una più partecipata. Abbiamo interpretato un desiderio di Papa Francesco prima ancora che si parlasse di un sinodo della Chiesa universale. Parlai di sinodalità nella mia prima omelia in cattedrale. A seguire vi fu un applauso che ritorna spesso a rendersi presente nel mio cuore. Sapevo che da più di 300 anni non si celebrava un sinodo nella nostra diocesi”.

Dopo una pausa di silenzio, quasi meditativa, a prendere voce è la prudenza del Pastore: “Non posso ancora certificare la presenza di un cambiamento legato al sinodo, i tempi brevi non me lo consentono”. Ma al contempo è pienamente convinto che “con il sinodo si è aperto un percorso che ci fa camminare insieme; è cambiato lo stile della chiesa, il modo di pensare, di giudicare e di vedere le cose”. La bellezza del passo sinodale, del camminare insieme come popolo di Dio, per Marciante ha la sua sintesi in un traino di armonia e sinergia che così esplicita: “Per il sinodo ho trovato molto entusiasmo nei laici. Il laico ama essere partecipe. I preti hanno mostrato un atteggiamento di attesa, di sospensione; mai di rifiuto. L’entusiasmo del laicato ha incoraggiato i sacerdoti nel camminare”.

Sui cambiamenti sociali, il cuore del Vescovo pare soffermarsi prima di tutto sul fenomeno dello spopolamento: “Continua a essere il forte problema del nostro territorio. I parroci continuano a ricordarmi che si fanno più funerali che battesimi. É un dato allarmante perché, se non ci sono nascite e i giovani se ne vanno, per il nostro territorio non ci sarà futuro. Purtroppo, non ci sono segnali di controtendenza. Siamo di fronte non solo ad una crisi economica, ma anche a una crisi culturale. La strada da percorrere è lunga. Si semina. Attendiamo dei frutti. Attorno a noi c’è una grande povertà culturale”. Sulle rughe che coprono il volto della nostra diocesi così si esprime: “La prima ruga che vedo è quella della rassegnazione, la convinzione che non ci sia più niente da fare, l’andare avanti in modo ineluttabile verso il nulla. La seconda grossa ruga è quella della lentezza burocratica. È la cifra in modo particolare della Sicilia occidentale. É una lentezza che uccide. È quella delle leggi, dei governi. É il segno dell’invecchiamento della nostra società. Queste due rughe emergono ancora di più perché mancano i giovani”. Sui germogli visti fiorire in questi anni a “parlare” è pure il volto del vescovo Giuseppe. che non nasconde segni di tristezza e preoccupazione: “Spesso non vedo visioni di futuro. Non è facile trovare germogli. Provo a vederli nei sogni dei giovani. Nei loro cuori. Loro cercano di reagire di fronte ai disagi del nostro territorio”. E prosegue: “Devono essere supportati dalla politica. Da tutte le istituzioni. Non possiamo lasciarli soli”.

Questi giovani, Monsignor Marciante, li ha incontrati e ascoltati nelle varie consulte dei nostri paesi, negli oratori diocesani. Pare che ne riascolti il grido e che li riveda ad uno ad uno nei loro ambienti. “Dove ho incontrato delle sorgenti di speranza”.
Trainato dalla bellezza di questi germogli, il suo volto pare illuminarsi e le sue mani sembrano chinarsi per raccoglierli e per mostrarceli. Iniziamo con gli oratori. “Sono presenti in 18 parrocchie. Vi è entusiasmo nei giovani che ne sono gli educatori. Potrebbero essere dei semenzai. Dentro gli oratori dobbiamo fare gustare ai ragazzi la passione per il nostro territorio, la volontà di restare. Bisogna che diventino delle fucine dove si acquisiscano queste mentalità. Gli oratori ci lasciano ben sperare”. Per il Vescovo Marciante un altro germoglio è “la maggiore coscientizzazione della necessità di lottare contro la criminalità organizzata. È in crescita nei ragazzi e nei giovani. C’è più sensibilità, maggiore attenzione al contrasto verso la cultura mafiosa. Pezzi dello stato hanno il merito di averla fronteggiata. Ma dobbiamo andare più a fondo. Da alcune analisi risulta che i ragazzi sentono parlare della lotta alla mafia più a scuola che in famiglia. Il 64% a scuola e solo il 12% in famiglia. Appare chiaro, come il processo educativo di contrasto alla mafia debba crescere ancora di più tra le mura domestiche. Un altro germoglio ci è dato dalla nuova chiesa che dovrebbe sorgere a Campofelice di Roccella su un bene confiscato alla mafia”. Su di essa le prospettive pastorali del Vescovo sono ben delineate: “Non si tratta solo di fare nascere un complesso pastorale. C’è da costruire una cultura. Potrebbe essere un segno. Noi mettiamo davanti alle nuove generazioni due modelli straordinari, un sacerdote Pino Puglisi e il giudice Rosario Livatino. La chiesa sarà dedicata a loro. Sarà un centro di educazione alla legalità”.

Ascoltando Monsignor Marciante pare di stare di fronte a un “cantiere della speranza”, con tanti lavori già in corso. A questi, si aggiunge anche un progetto i cui lavori potrebbero iniziare a breve. Un progetto che sta molto a cuore al vescovo. Al solo parlarne, il suo volto si irradia di gioia. “Siamo di fronte a un seme che spero diventi presto un bel germoglio. A Cefalù potrebbe sorgere una facoltà di medicina collegata al nostro ospedale Giglio. Ci siamo accorti a livello locale, regionale e nazionale che mancano infermieri e medici. Siamo di fronte a una vera e propria emergenza. La creazione e la realizzazione di una nuova facoltà di medicina a Cefalù, inizia a muovere i suoi primi passi. Anche nei nostri politici, a livello regionale, pare ci sia tutta la buona volontà di andare avanti”. La speranza del Vescovo è che “non ci si fermi alle parole. Saremmo di di fronte a una nuova e inattesa primavera scientifica, sanitaria, culturale ed economica che, con il suo indotto, beneficerebbe tutti”. Oltre ai germogli e ai semi, nel territorio della diocesi di Cefalù c’è anche qualche pianticella in crescita. Tra le tante, Monsignor Marciante ci parla della “sua” prima pianticella. “È la cooperativa “Il Segno”. Ha dato lavoro a circa 40 dei nostri giovani. Attorno ad essa ruotano due attività, quella turistica e quella agricola. Quella turistica è legata all’itinerario della cattedrale, quello ruggeriano; prevede anche la pianificazione di un percorso che porti i turisti da Cefalù all’interno del territorio madonita”. Tutti possiamo vederla. Ha le sue radici, rami e foglie. La si incontra attorno alla cattedrale. Ha il volto bello di tanti giovani in movimento che son riusciti a “mettere” radici nella nostra terra.

Il nostro viaggio prosegue. Adesso il cuore e lo sguardo paterno del Vescovo dalla costa si muove verso le montagne, verso le aree interne. Con continui e accorati appelli rivolti alle istituzioni politiche le ha difese e sostenute, come le “pupille” della sua azione pastorale e sociale. Ha fatto sentire la Sua voce per la cura e creazione di infrastrutture capaci di tessere collegamenti. “Le aree interne – afferma – sono definite tali perché lontane dai centri vitali. Noi dobbiamo accorciarne le distanze, soprattutto dai servizi essenziali. Se ne accorciamo le distanze, potrebbe anche “cadere” la definizione di area interna”. Sgranando gli occhi e alzandoli al Cielo, esclama: “Come vorrei che tale definizione cadesse. Indica una forma di marginalità inaccettabile nell’era della Rete, dei social, del villaggio globale. Tutto questo è deprimente, soprattutto perché non si vedono ancora a livello politico, specifici e mirati progetti capaci di rafforzare le condizioni per avvicinare le aree interne ai centri vitali”. A proposito degli appelli e dei risultati ottenuti, il vescovo dichiara: “C’è stato un ascolto ridotto. A dire il vero, è stato fatto qualcosa: ho benedetto tre opere. Ho visto l’apertura del viadotto Himera nei pressi di Scillato, chiuso da anni. Rendere finalmente praticabile la strada provinciale che da Tremonzelli porta a Valledolmo e quella che congiunge Gangi a San Mauro“. Anche se per Marciante: “È come se di fronte a noi ci fosse un semaforo rosso sempre acceso. Per muovere ogni cosa passano gli anni. Non ci sono proposte per i giovani, per la nuova imprenditoria giovanile”.

Le note di amarezza raggiungono il loro picco quando il Vescovo Giuseppe ricorda la presenza a Cefalù di una collaudatissima scuola professionale gestita dai padri giuseppini. Alzando il tono della voce dichiara: “L’averla chiusa è stato un grave errore per il nostro territorio. Io man mano che incontro le comunità sperimento come tutti si ricordino dell’“artigianelli”. Tanti hanno preso un diploma e hanno potuto lavorare grazie a questa scuola di formazione. La politica ha distrutto questo polo”. Senza alcun tentennamento incalza: “Dobbiamo dirlo! È colpa della politica, dei governi non governi. Un bene è stato distrutto. Le conseguenze sono visibili agli occhi di tutti: mancano muratori, elettricisti, idraulici, imbianchini”.

Gli appelli del vescovo sembrano non trovare tregua: “Serve un cambiamento di mentalità sul modo di intendere la pastorale, legandola al nostro essere cittadini”. Puntualizza: “Alcuni ritengono ancora che il prete debba pensare a quante candele bisogna mettere sull’altare. Il compito del prete è animare col lievito evangelico tutte le realtà sociali. La sensibilità sociale deve crescere nel clero e nei laici. Come deve crescere la coscienza sociale e politica della nostra gente. Il nostro popolo spesso ha la mentalità della delega. Pensa che avendo dato un voto, ha delegato altri a fare tutto. Bisogna educare a una partecipazione attiva alla vita della cosa pubblica. A far sentire la propria voce quando c’è qualcosa che non funziona. L’interesse e l’attenzione non può ruotare esclusivamente attorno al bene privato. Serve un cambio culturale che porti alla ricerca del bene comune”.

Relativamente al settore turismo per Monsignor Marciante: “La riflessione è abbastanza complessa. Da una parte sembra che cresca l’economia, aumentano le strutture recettive. Ma il turista non viene solo per vedere monumenti o farsi un bagno. Ha bisogno di incontrare un popolo, una storia, una cultura. Cefalù è diventato un ristorante a cielo aperto. Il soggiorno, soprattutto tra le vie del centro storico, può risultare invivibile anche per i turisti. Spesso si ritrovano a respirare i fumi dei ristoranti, a non poter facilmente riposare per i rumori e gli schiamazzi che si protraggono fino a tarda notte”. A tal proposito, il Vescovo lancia le sue paterne esortazioni tese ad attenzionare la qualità dell’accoglienza rivolta al turista: “Il turista non cerca solo divertimento, ma un ambiente che sia anche di ristoro e di pace. Il turista non è solo un consumatore di divertimento”. Ma non basta. Bisogna pensare anche a garantire una qualità di vita ai residenti: “Cefalù è diventata invivibile: difficoltà nel parcheggiare, fumi dei ristoranti, i cattivi odori, i rumori. Si rischia che la nostra cittadina perda la sua identità. I suoi abitanti preferiscono andare fuori, chi ha la fortuna di avere una seconda casa va via, qualcuno emigra verso qualche paese limitrofo della costa. Così Cefalù viene abbandonata dai suoi storici abitanti. La casa di proprietà viene trasformata subito in un B&B. Il cittadino cefaludese lascia la sua casa. Da qui inizia il processo di desertificazione della città, a partire dal suo cuore: il centro storico”.

È facile comprendere come per il Vescovo occorra cambiare rotta: “A far la parte da leone nella pianificazione di una proposta turistica di qualità non ci può essere solo la logica del mero tornaconto economico immediato. Servono proposte che consentano al turista e al cittadino cefaludese di sperimentare la bellezza della cultura dell’incontro i cui tesori non staranno solo nei musei, ma anche nei cuori di entrambi”.

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