Addio a Gioacchino Biundo, tra gli ultimi reduci della Seconda Guerra Mondiale

Mirella Mascellino

Cronaca - Il lutto

Addio a Gioacchino Biundo, tra gli ultimi reduci della Seconda Guerra Mondiale
Ha partecipato alla II Guerra mondiale nel reparto di Artiglieria

29 Luglio 2021 - 09:28

E’ morto qualche giorno fa Gioacchino Biundo, tra gli ultimi reduci combattenti sopravvissuti al conflitto mondiale, a 4 giorni dal suo atteso 100esimo compleanno. Nato a Castelbuono il 18 luglio 1921, ha partecipato alla II Guerra mondiale nel reparto di Artiglieria. In Grecia fece parte dell’XI Armata, ricevette anche una medaglia al Merito riconosciuta dalle segnalazioni del Capitano al Generale.

In un’intervista registrata dieci anni fa, raccontò la sua campagna in Grecia. Attraversò a piedi la Jugoslavia, allora occupata, arrivando in Grecia dalla parte di Salonicco. Nel frattempo altre truppe italiane entrarono in Grecia dall’Albania, incontrando più resistenza. Sia la Jugoslavia che la Grecia caddero nel giro di sette mesi e così Biundo e gli altri soldati rimasero in Grecia a presidiare, stanziati nell’isola di Eubea, fino all’8 settembre del 1943. I suoi ricordi sull’8 settembre erano nitidi. Quel giorno era in ospedale con la malaria, presa in Grecia, con una recidiva. A sentire il bollettino di guerra alla radio che annunciava l’Armistizio, lui e gli altri soldati furono presi dall’entusiasmo. Erano i giorni dei fatti di Cefalonia.

Al loro campo arrivarono due soldati scappati da lì e anche due partigiani greci che li invitarono a seguirli perchè li avrebbero aiutati a raggiungere l’Italia. Riportiamo alcune delle parole delle testimonianze rilasciateci da Gioacchino Biundo, durante l’intervista del 26 giugno 2011: “La mia famiglia non sapeva nulla di me da giugno del 1943 fino a gennaio del 1945. C’era un po’ di allegria nell’aria. Eravamo tanti. Arrivammo l’indomani a Cardiza. C’era lì un cartello che diceva che chi voleva lavorare nella ferrovia era favorito nel rimpatrio. Io mi iscrissi. Per gli amici miei il numero era chiuso. Lì trovai un maggiore inglese che fece un discorso: “Italiani io vi ho seguito dall‘8 settembre 43, ho condiviso con voi il freddo e la fame, oggi ho l’onore di riportarvi in Italia. Per ben 8.000 italiani il rimpatrio sarà vicino, non appena ci sarà la nave”. Andai a lavorare nella ferrovia per ricostruire la linea che era saltata durante la guerra. I tedeschi si erano ritirati appena videro che i russi avanzarono. Lavorammo 10 giorni e poi ci fu una festa in città. Il maggiore inglese organizzò una partita di calcio tra italiani e greci. Ci chiamarono e ci consegnarono una striscetta. Andammo a Volos nel mare Egeo. La striscia diceva che eravamo italiani e non prigionieri e dovevano essere rimpatriati in Italia. Una sorta di passaporto. Andammo verso Volo e ci accampammo.

Gli inglesi ci disinfettarono dalla testa ai piedi, ci fecero spogliare nudi. Avevamo i pidocchi. Camminavamo avvolti in una coperta di lana, prima di ritrovare i miei vestiti bagnati. Un giorno venne un cappellano italiano e ci chiese di dare notizie dei compagni morti. Io dissi pure della morte del mio compagno, Antonino Chiazzese, palermitano. Dopo due giorni arrivò la nave. Era la vigilia dell’Immacolata del ’45. Partimmo il giorno dell’Immacolata. Ma per tre giorni navigammo prima di arrivare a Taranto nel campo dove c’erano prigionieri tedeschi. Siamo stati lì 15 giorni poi andammo a Trani e poi ad Orvieto. Arrivai a casa il 18 febbraio del 1945. Arrivammo a Messina di sera e treni per Palermo non ce n’erano. Dormimmo lì. Ci vollero due giorni per arrivare a Castelbuono. Il cammino verso casa fu emozionante. Io vivevo in un vicolo vicino al municipio, la discesa che va verso il Salvatore. Incontrai una ragazza che mi riconobbe e chiamò i miei genitori (si commuove Gioacchino, ndr) e fu una grande gioia”.

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