Il no di Petralia Soprana alle carni sintetiche, un esempio da seguire

Michele Ferraro

Editoriale - L’opinione del direttore

Il no di Petralia Soprana alle carni sintetiche, un esempio da seguire
Una delibera che difende la cultura dei pascoli, utile a “mettere il ferro dietro la porta”

06 Giugno 2023 - 13:39

In molti avrete letto l’articolo “la disinformazione sulla carne coltivata, tra bugie e invenzioni”. Un pezzo di approfondimento, scritto in maniera precisa e puntuale dal collega Vincenzo Ganci, che affronta un tema decisamente molto delicato, intorno al quale è legittimo avere visioni anche profondamente diverse ma che, in uno spazio democratico (com’è sempre stato il nostro giornale) hanno diritto di cittadinanza. Anzi, le diverse posizioni possono stimolare un dibattito certamente positivo. Ed è questo il motivo che mi spinge a scrivere questo secondo editoriale sull’argomento.

Al contrario di quanto legittimante sostenuto nel precedente articolo, il sottoscritto crede fermamente che la delibera adottata all’unanimità dal Consiglio Comunale di Petralia Soprana sia un esempio da seguire da parte degli altri consessi comunali delle alte Madonie. Utile a difendere la nostra cultura dei pascoli ed a “mettere il ferro dietro la porta” rispetto a interventi normativi che, da un giorno all’altro, ci potrebbero piovere addosso. Anzi, che sicuramente ci pioveranno addosso, considerati gli enormi interessi economici che si muovono attorno a questo nuovo mercato. Basti pensare che solo sul settore della ricerca (non della produzione, attenzione!) sono stati investiti nel 2021: 700 milioni di dollari negli Stati Uniti. C’è poi Israele con 475 milioni, l’Olanda con 57 milioni, 41 milioni Singapore. Insomma, un business da capogiro che non vale ancora certamente quanto quello delle grandi industrie dalla carne, ma che sta crescendo enormemente.

Qui non si vuole smentire una sola parola rispetto a quanto scritto dal collega Vincenzo Ganci, che riporta dati precisi e riscontrabili. Qui si vuole precisare che tra la carne “coltivata” o “sintetica” e le coltivazioni intensive, cui fanno riferimento i dati e le opinioni riportate nell’articolo precedente, c’è di mezzo un mondo che è il nostro. Quello dei pascoli!

In Italia, ed in particolare nelle Madonie, non coltiviamo maiali nei grattacieli. Qui alleviamo, in prevalenza bovini e ovini, facendoli vivere e pascolare serenamente in magnifici altopiani e ricoverandoli in allevamenti altamente biologici, centrati sul benessere dell’animale e sul rispetto della natura. Nel modesto parere di chi scrive, se c’è un modello da difendere e da promuovere, in contrapposizione alle aberranti industrie intensive presenti in America o in Cina, è proprio quello dei nostri pascoli di montagna, non certo quello della carne in provetta.

Da bambino, trascorrendo le estati in campagna, mi svegliavo presto per andare incontro al mio “gioco” preferito. Pascolare le mucche. Alle 7 del mattino l’appuntamento con il compianto lo Zio Nino (Bongiorno), o con lo Zio Cataldo (Blando) o con il figlio Santo, era per me il momento più atteso della giornata. Da loro ho imparato a distinguere i venti, le verdure spontanee “buone” da quelle “cattive” ed a chiamare le mucche per nome. Le ricordo ancora, ad una ad una: Russetta, Farfalla, Milinciana, Pernicana … Chi davvero vuole fare una esperienza di benessere a stretto contatto con la natura venga a fare un giro nei nostri pascoli. Troverà molto più amore e umanità qui che nei laboratori di carne “coltivata”.

In definitiva, la battaglia sulle carni sintetiche non è, a mio avviso, “ideologicamente” sbagliata. Ma lasciamola combattere negli Stati Uniti o in Cina, dove ha un senso. Noi per fortuna abbiamo un altro modello, che ci tramandiamo di generazione in generazione, è che va tutelato e custodito ad ogni costo. Per questo mi complimento con il Consiglio Comunale di Petralia Soprana, augurandomi che la delibera di Coldiretti che, specie per il nostro territorio, ha un altissimo valore politico, venga adottata anche da altri municipi madoniti. A difesa di un modello e di una identità culturale alla quale non vogliamo rinunciare, anche a costo di apparire “poco moderni”.

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